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tiche. Esistevano distaccamenti di lavoro con due o tre
persone, oppure campi che ne ospitavano decine di
migliaia. Si trovavano in climi di tipo nord europeo
oppure africano, oppure ancora tropicale e malsano.
Le condizioni di vita dipendevano in gran parte dal-
l’ambiente ma anche dalla disponibilità ed obiettiva
possibilità dei comandanti dei diversi campi di prigio-
nia sparsi per il mondo.
Ovviamente anche l’organizzazione burocratica della
vita nei campi era diversa, a seconda della potenza
detentrice o della condizione temporale della prigionia.
Possiamo dire comunque che la maggior parte dei
documenti, pur cambiando nella forma, era sostanzial-
mente la stessa.
Il primo documento amministrativo veniva redatto
subito dopo la cattura e consisteva in una scheda (Fig.
1) su cui venivano registrati, oltre ai dati anagrafici e
familiari del prigioniero, anche la data ed il luogo di
cattura, il primo campo di internamento ed i successivi
trasferimenti, fino al rimpatrio.
Il militare catturato poteva comunicare alla famiglia
l’avvenuta condizione di prigionia con un modulo
appositamente predisposto ed, a volte, prestampato
(Fig. 2).
Successivamente i contatti epistolari con la famiglia
proseguivano, in modo più o meno regolare, attraverso
moduli comuni o specif ici, secondo quantità e regole
diverse a seconda della potenza detentrice e che pote-
vano cambiare nel tempo. A questo riguardo occorre
precisare che il traffico postale da e verso i prigionieri
era gestito non solo dai servizi interni ed internaziona-
li ma anche dalla Croce Rossa (Fig. 3) e dalla Santa
Sede (Fig. 4), che provvedevano a fornire, tra l’altro,
anche l’opportuna modulistica.
La Croce Rossa italiana istituì l’Ufficio Prigionieri
Ricerche e Servizi Connessi che provvide anche ad
emanare le norme e le modalità per corrispondere con
i prigionieri. In particolare la circolare del 1/1/1943
conteneva tutte le istruzioni per il trattamento della cor-
rispondenza (Fig. 5-6-7), dei pacchi, dei vaglia e dei
teleg rammi (Fig. 8) diretti ai prigionieri e internati civi-
li e da essi provenienti.
In caso di trasferimento fra un paese e l’altro veniva
redatta un’ ulteriore scheda di presa in carico su cui
venivano registrati praticamente gli stessi dati di figura
1 (Fig. 9).
Come si è già detto, in conformità dell’articolo 34 della
Convenzione di Ginevra, i prigionieri che lavoravano
dovevano essere pagati ed in realtà lo furono. Lo sti-
pendio, che andava sommato alla normale paga milita-
re, poteva cambiare a seconda della potenza detentrice
od anche dei singoli paesi che ne facevano parte; veni-
va corrisposto in moneta stampata appositamente e
valida solo all’interno del campo (Fig. 10) oppure era
accreditato su un apposito libro paga (Fig. 11).
Per ogni prigioniero veniva anche redatto un documen-
to di identità personale che, specialmente per i coope-
ratori, serviva anche come lasciapassare.(Fig. 12).
Ad ogni prigioniero venivano assegnati in dotazione
indumenti e oggetti di uso comune, necessari alla vita
quotidiana. Ogni prelievo doveva essere registrato (Fig.
13).
Anche il comportamento del prigioniero era oggetto di
controllo e di registrazione su di un apposito modulo
(Fig. 14).
Esisteva anche una specif ica scheda che riportava le
condizioni di salute del prigioniero, compresi i ricove-
ri ospedalieri. (Fig. 15).
Gli esempi riportati non esauriscono ovviamente la
tipologia della modulistica in uso nei vari campi, che
era molto più articolata, ma credo siano suff icienti a
dare una idea della complessità organizzativa e logisti-
ca che dovettero affrontare le diverse Potenze detentri-
ci, per gestire un evento che in alcuni casi e soprattut-
to nelle fasi iniziali, era obiettivamente superiore alle
proprie capacità di affrontarlo.
Fig. 14 - Parte anteriore di un documento redatto dagli inglesi per la registrazione della condotta. Si può nota-
re una condanna a 28 e 15 giorni dì detenzione per il rif iuto a lavorare.
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